lunedì 21 aprile 2014

Si raccoglie ciò che si semina

Ci sono poche cose che non sopporto. O meglio, ci sono molte cose che non sopporto, come la maggior parte delle persone, ma ce ne sono poche che davvero non tollero.
E quelle che non tollero mi riempiono di un senso di rabbia frustrazione e ansia.
Rabbia perché non le tollero, come detto sopra.
Frustrazione perché in generale queste cose non puoi gestirle come sarebbe tua intenzione fare.
Ansia perché so che in qualche modo, in qualche momento, quando meno me lo aspetterò verrò presa in contropiede da me stessa e quel che ho tenuto fino a quel momento...uscirà dal portone principale come se niente fosse. A nulla varranno le proteste delle guardie. Non si può fermare la follia.
O la vena tappata; chiamatela come meglio preferite.
Ci sono persone che credono di conoscerti benissimo, perché ti frequentano da più di due anni.
No, per inciso, non mi conoscete.
Sono convinte di conoscermi perché ho detto loro il 20% di ciò che riguarda la mia vita.
Ora, naturalmente parliamo di persone che non distinguono il parlare dal dire. Che non capiscono che parlare per ore, non significa essere messi al corrente per ore di cose strettamente personali.
Al contrario, se provi a parlare rispondono "ho capito" prima che tu riesca a finire il discorso ( e questa è una delle cose che porta la mia vena a tapparsi al 60%) e quindi si fanno il loro film personale portando inevitabilmente ad un prossimo e non ben identificato disastro. Perché è questo che fanno queste persone, creano danni indicibili, totalmente inconsapevoli di farlo in quanto non ascoltano. Loro "hanno capito".
Poi ci sono le persone che credono di conoscerti e si confondono pensando che conoscendoti possono parlare di te a chicchessia ed in totale libertà.
Questo non lo tollero assolutamente.
Primo, le persone che mi conoscono davvero, sono quelle che sanno che i miei affari personali sono appunto "personali". Quindi non vanno certo a raccontarle in giro, anzi non lo fanno e se lo fanno, io lo so (o lo vengo a sapere e qui si torna ai non-amici che credono di esserlo...).
Chi non mi conosce lo fa non sapendo che non è concesso perdono per una cosa del genere.
Non ho intenzione di togliere la parola a nessuno, non siamo all'asilo, mi limiterò a non dire più niente, continuando a chiacchierare a ruota libera. La cortesia è d'obbligo.
Secondo: se non si rende conto che quello che fa dimostra una totale mancanza di rispetto verso la mia persona, non ho più alcun motivo per portare rispetto a mia volta.
La cosa divertente è che dopo avermi offeso pesantemente con un comportamento così insensibile, si permettono di essere offese loro.
Cercano di farti sentire in qualche modo colpevole delle loro colpe.
Ora...se mi avessero ascoltato davvero, avrebbero capito che questo con me non funziona.
Funziona solo per quanto riguarda le mie colpe. Se ho una colpa non solo la sento, ma la soffro. E come tutti noi ho delle colpe, ed alcune di quelle che ho sono colpe che non sono sicura di avere, ma che comunque per ora sto pagando.
Ma le colpe degli altri sono degli altri e su loro ricadano, per quanto mi riguarda.
Posso cercare di rimediare, una, due, tre volte. Dopo di che....diciamoci la verità: non vuoi che le tue colpe vengano risolte. Anzi, vuoi che ti aiuti ad averne altre per poi poterle espiare.
Mi spiace. Non convivo bene con i gesuiti. Che ci vuoi fare.
Farmi arrabbiare per poi farsi perdonare può funzionare le prime due volte, quando ancora spero che sia una mia impressione. Da quando diventa una certezza sei fuori.
Altra cosa che non tollero è essere coinvolta in un qualcosa di personale (nel quale io non dovrei nemmeno avere il ruolo di una bicicletta che passa per la strada) per poter sempre avere  un punto di appoggio, oppure un testimone, uno spettatore innocente obbligato a far parte di un film che non gli è mai piaciuto.
Tali situazioni mi causano un'immensa ansia, dato che vengo trascinata contro la mia volontà, espressa chiaramente, di essere parte di tale situazione. E nonostante lo dica, lo ridica e lo ripeta, questo viene fatto e rifatto.
E questo non solo mi provoca ansia...no, non solo.
Mi provoca uno stato di perenne ed incontrollabile rabbia. Perché non è normale. Non è normale, non è umano, non è corretto, maturo. Fare del male agli altri per la propria soddisfazione personale è sbagliato.
Quindi io, per sentirmi soddisfatta, dopo quello che mi è successo in questi ultimi anni...ditemi, cosa dovrei, potrei e sarei autorizzata a fare?!
Perché queste persone si difendono dietro queste motivazioni.
-Perché mi è successo.
-Perché con quello che mi è stato detto.
-Per quello che mi è stato fatto...
-Sono una vittima...povero me...noi non volevamo...blablabla...
No, a voi è successo quello che a tutti è successo.
Siamo stati tutti male, abbiamo sofferto tutti, abbiamo tutti pianto i nostri vivi ed i nostri morti. Abbiamo tutti creduto e perso la fede e poi l'abbiamo ritrovata o non.
Abbiamo tutti fatto errori che non riusciamo a perdonarci ed altri che ci nascondiamo nonostante siano alla luce del sole.
Questo non ci autorizza e, ripeto, non autorizza nessuno a far del male agli altri, per alcun motivo.
La trascuratezza non ha scuse.
L'ignoranza non ha scuse.
La superficialità, la mancanza di rispetto, la fame di attenzione, il desiderio di esserci e la sindrome di vodafone non hanno scuse.
Queste persone, che sbandierano ai quattro venti di conoscerti per potersi dare una scusa mentre ti infilano le mani in tasca e passano il tuo portafoglio al primo della fila, non meritano né la mia conoscenza né tanto meno il mio affetto.
Queste persone che ti coinvolgono affinché tu sia la terra in cui piantare le proprie paure e le proprie ansie, lo scudo dietro il quale nascondersi dai propri errori, non meritano nessuna delle persone e delle cose che amo.
In effetti il problema sta nel fatto che le persone "hocapito" (scritto volutamente tutto attaccato cari) sono quelle che non capiscono perché non vogliono capire. Perché se capissero non potrebbero più fare come desiderano, scatenare le conseguenze che sanno di scatenare e poi essere confortate e difese da una manica di stupidi ( solitamente sono in mezzo a quelli ), almeno finché non afferrano la verità.
A quel punto cambiano vivaio in cerca di nuovi vigorosi e innocenti virgulti da crescere.
E' ovvio che queste cose non vengano tollerate non solo da me, ma da molti.
Eppure nessuno ci pensa. Nessuno ci pensa finché non arriva al punto di rottura.
Alcune cose non si possono perdonare.
Da questo post sembrerebbe che io sia una persona intransigente.
Ma sono diversi anni che sento dire da alcune persone -che mi conoscono-. Che sanno come sono. Che "siamo amici, dai", per poi sentire parole senza senso uscire da quelle stesse bocche, sapere di comportamenti ed atteggiamenti solo per caso. Perché qualcuno -oooppss non lo sapevi, mi raccomando non dire che te lo ho detto io-.
E certo.
Sapere che, nonostante "ti conoscano", riescano a dire e fare cose incredibili, offendersi perché mi hanno offeso, offendersi se ho altri amici ed altre persone a cui rivolgermi e con le quali amo passare il mio tempo.
Ma stiamo scherzando?!
Mia nonna non si offende se non la chiamo per Pasqua! Se vado a pranzo con mia zia senza di lei! Ed è mia nonna! Mia nonna!
Voglio dire. E' come se mia madre mi avesse detto "certo che stronza, esci con l'amanda e nemmeno mi chiami"...
La marzianità.
Come se mio padre mi avesse detto "vai a bere con gli amici e non mi inviti alla festa".
Davvero. Siamo all'assurdo!
Come se Ello mi dicesse "sei uscita con tua sorella per parlare da sole fra di voi e nemmeno mi chiedi di venire".
Ci sono cose che sono mie. Solo mie. Amicizie personali. Vicende personali. Scelte personali ed amicizie individuali.
Non esiste la simbiosi totale. Lo so io. Lo sa il mio compagno. Lo sanno i miei amici (quelli veri, repetita iuvant). Solo il pensare di doverlo spiegare mi fa rabbrividire.
Tutti noi dividiamo tutti. Con i genitori se siamo sorelle o fratelli. Condividiamo il compagno/a con amici, genitori e lavoro.
Dividiamo noi stessi con noi stessi.
Non esistono rapporti completamente e totalmente esclusivi. E se esistono sono conosciuti solo alle due persone in questione.
Quindi non esiste stizzirsi perché io ho affetto per qualcun altro o perché sono in grado di fare le cose da sola.
Persone che mi porterebbero anche in bagno se potessero. Che dicono " ma fai da te?!" o ti vogliono spiegare come fare le cose....scusate, non per fare la polemica, ma se non so come fare una cosa o mi informo o sono io la prima a chiederla ed a chiedere aiuto. Anche perché una persona con una minima coscienza di se, non si vergogna a chiedere aiuto, né si sente debole o meno capace nel farlo.
Quindi se non ti chiedo aiuto o dico "tranquilla/o faccio da me" non puoi né mettermi il broncio, né insistere nell'affermare che ad ogni modo non lo sai fare come dici di saperlo fare o come io dico che tu debba saperlo fare e così via, così via di seguito.
Si trattasse anche di lavarsi i denti.
Non è sano. Non lo è per niente.
E ora cosa fareste se vi dicessi che tutto questo, tutta questa frustrazione, rabbia, ansia che vi sta gonfiando in petto non potreste in alcun modo sfogarla?!
Se persone come queste fossero così astute nel mettersi in una posizione che le rendano inattaccabili, o quantomeno difficilmente raggiungibili come bersaglio della vostra furia?! Cosa fareste?! Vi dibattereste nella vostra rabbia, frustrazione ed ansia.
E questo non farebbe che aumentare l'ansia. E aumentando l'ansia aumenta la rabbia. Ed aumentando la rabbia aumenta la frustrazione.
Che aumenta l'ansia.
Ecco. Come vi sentireste?! Nel mio caso schiumerei di rabbia in silenzio, al buio, ringhiando sommessa nella mia tana. Aspetterei che mi passasse quantomeno la schiuma, che non fa belli, al contrario della pioggia.
Mangerei cioccolata per giorni. Mi prenderei il tempo della convalescenza per placare la fame.
Parlerei con gli amici, quei pochi, con cui mi sentirei libera nelle parole.
Aspetterei che l'animale che ringhia e sbuffa perdesse vigore, si arrendesse e mugolando si assopisse, sebbene con le orecchie sempre dritte.
Ecco, direi che in questo momento mi sento proprio in questa situazione.
E gli amici mi chiedono come faccia ad essere così controllata.
Semplice, se dentro infuria la tempesta, ma la tempesta non può infuriare, non c'è altra soluzione che far splendere il sole.
Che dire?! Certo, verrà il momento ( non troppo lontano direi ) in cui dai e dai il sole verrà a mancare, si offuscherà, si nasconderà dietro le montagne e si limiterà ad osservare la tempesta che infuria, con un mezzo sorriso che vuol dire " Si raccoglie ciò che si semina".




giovedì 10 aprile 2014

Burocrati sull'orlo di una crisi di nervi

Sono creature mitologiche, parte uomo parte scrivania- uomo inteso come umanità, tanto per rispetto alla par condicio.
Mangiano fogli ma mal li digeriscono a causa delle troppe parole. Soprattutto quelle lunghe che finiscono in "-mente", come definitivamente, finalmente, qualitativamente.....insomma "mente"....
Sono povere anime confuse che vagano fra comma e comma e, quando messe difronte a persone dotate di conoscenza fosse anche pseudo-legale, simulano svenimenti, ipossia, improvvisi attacchi di perdita di memoria a breve termine.
Se poi chiedi erroneamente - e mente non piace al burocrate - di visionare fascicoli, o solo fogli, o addirittura un pizzino unto con scarabocchiato un mezzo numero...allora scatta un meccanismo mentale in seguito al quale svengono e cadono a terra come pupazzi di carne...avete presente la scena di Matrix in cui Apoc e Switch cadono a terra perché Cypher gli stacca la spina sulla Nabucodonosor?! Ecco uguale, cadono a terra privi di peso. Come non avessero ossa a sostenerli.
Bravissimi. Loro si meritano l'Oscar, mica quei dilettanti di Hollywood!!!!
Dopodiché pronunci la parola "avvocato" oppure "mi rivolgerò alle autorità competenti" -insomma una qualsiasi frase che possa risvegliare in loro qualche similitudine linguistica. Ed hop!! Eccoli fare il pupazzo a molla.
Faticoso, credetemi; sostenere una conversazione con un burocrate, ma uno di quelli VERI, non quelli che fanno il loro lavoro, lo sanno fare, ma sono sfiniti e quindi a volte scortesi. No. Quelle sono persone che lavorano estenuantemente (-mente- sì, lo dico apposta) facendo anche il lavoro dei VERI burocrati.
Essi si aggirano furtivi la notte, scambiando faldoni, perdendo fogli e documenti, fanno numerose fotocopie e le sparpagliano per gli uffici. Nascondo file, e ridacchiano con denti appuntiti e occhietti maligni.
Sto esagerando me ne rendo conto. Ma non so perché, li immagino come goblin dispettosi che amano complicare le cose ai colleghi quanto ai poveri utenti finali.
Sì. Ebbene sì. Siamo "utenti". E dobbiamo farcene una ragione.
Ad ogni modo ho avuto un interessante incontro, proprio settimana scorsa, con un gobl...ehm, con un burocrate. Anzi due.
La seconda non credo fosse un goblin, no. Sembrava più una specie di famiglio.
L'ho soprannominata Tippete, ma ho sbagliato, sembrava più la fata Serenella, un po' sbadata, sfarfallante. Però, non so perché, era "tippete" il nome che meglio le si addiceva.
Quell'altra era proprio un goblin...quindi è evidente che c'è un complotto in atto.
Ad ogni modo mi sono recata dai burocrati con il solo scopo di firmare un foglio. Un semplice, breve, insulso foglio, che avrebbe potuto battere a macchina (nemmeno al computer) anche mio nipote di otto anni, senza dubbio in un italiano più corretto.
Insomma. Alle due e mezzo di giovedì entro nell'ufficio. Chiedo di poter parlare con un responsabile.
Esco alle quattro e mezzo senza aver firmato niente; devo tornare la mattina seguente con dei fogli (io!), per poter firmare un foglio...
Non dite niente.
In quelle due ore io ho ripetuto prima a tippete, poi al goblin, poi ad entrambe in stereo, quello che mi era stato spiegato da un loro collega (sigh!) e che, di conseguenza, ero andata da loro per firmare un foglio, che loro non sapevano andasse firmato, ma- d'altro canto- forse sì, si dovrebbe firmare, però prima ci vuole un foglio che dimostri che io devo firmare il foglio che non si sa se va firmato ma già che ci siamo firmiamolo.
- Ma può spiegarmi meglio cosa le ha detto il collega che dovrebbe firmare cosa?- No, cara, cosa lo dico io.
La guardo. Niente scintilla. Sguardo bovino.
Ricomincio pazientemente come fosse una bambina di 4 anni. Parlo lentamente e scandendo le parole.
Ad un certo punto fa -Ah, forse ho capito- (forse?!)- ma sarà meglio che chiami la mia collega per capire per bene cosa possa aver detto il precedente collega.
Ho fatto presente che dopo due ore iniziavo ad avere un principio di disidratazione.
La collega come io temevo non capisce assolutamente (-mente) niente, e mi fa ripetere la cosa.
Allora, signore mie belle: consecutio temporum: avvenimento A, cui segue avvenimento B che porta alla realizzazione dell'avvenimento C e quindi io D come Demente (mente) mi trovo lì; cercando di capire come sia possibile ritrovarsi a parlare con tippete e goblin mentre fuori splende il sole e mi aspetta un buonissimo caffè con cacao al bar.
Alla fine goblin, sempre incerta e tremolante, dice che sarei dovuta tornare il giorno dopo perché per potermi fornire il documento da firmare, devo portare io altri due documenti. Bene, bene, apposto, allora a domattina sul tardi arrivederci arrivederci.
Vado a prendere il caffè, faccio i miei giri e torno a casa.
La mattina alle 9.00 chiama tippete, spiegando che loro hanno bisogno che vada presto perché alle undici è tardi, quindi dato che sono dispiaciute per i miei problemi di salute (spiegati il giorno prima con grande pazienza) possono aspettare fin verso le 9.30.
Guardo il cellulare, il cellulare mi guarda incredulo.
Tippete fa - Pronto?! Pronto signora è ancora lì?-
La signora è ancora lì, ma guarda il cellulare pensando che in effetti è stata una sciocca ad aver creduto che tutto sarebbe filato liscio, che le burocrati non avrebbero in qualche modo svolto per intero il loro lavoro.
Arrivo con calma alle 10.00, perorando la mia causa; spiegando sorridente che non potevo venire in pigiama e pantofole, per quanto eleganti e colorate.
La goblin mi guarda fra lo sdegnato e l'appannato. Tippete sorride; non si sa a chi, non si sa a cosa.
Quindi porgo loro i fogli. Loro, per l'ultima volta, mi chiedono se sono sicura di come e in che ordine si siano svolte le cose.
Le guardo e sorrido.
-Certamente-
Rabbrividiscono. -mente- non va bene.
-signora senta-
-mi dica-
-riguardo all'altro discorso?!-
-provvederò tempestivamente-
Evidente conato di vomito di tippete. -mente- non va bene
-Bene allora arrivederci- sorriso e stretta di mano frettolosi per allontanare quella spacciatrice di lunghe parole terminanti in -mente-. Stanno perdendo le forze.
-Buona giornata-
-Sicuramente! Anche a lei-
Esco sogghignando maligna-mente e con un vago senso di soddisfazione udendo un "flosh" di corpo che sviene sul pavimento.
Natural-mente.

martedì 1 aprile 2014

Dove siamo?!

Quando eravamo ragazzi c'era una sala di registrazione. Beh, ce ne erano più di una. Ma questa in particolare per me ha importanza perché è stata la prima. Per carità, ricavata da una cantina, ma era un regno intero.
Il suono riverberava all'interno della sala e spesso uscivi con un mal di testa mostruoso, ma felice.
Ascoltavi gli amici suonare ed era bello e ti si gonfiava il cuore in petto e venivi attraversata dalla potenza della musica, che non ha confini e la cui potenza è anche una tenera carezza.
Era meraviglioso. E io stavo benissimo.
Anche io ho sempre amato cantare e, di quando in quando, durante questi anni l'ho fatto.
Sono troppo timida per "scoprirmi", anche se a volte, nelle varie case degli amici, cantare ho cantato. Che vuoi, siamo più o meno tutti figli della musica. E allora tutti insieme a farla, la musica. E quando cantavo non c'era né c'è niente altro al mondo.
Perché in quel momento siete tu e te stessa che celebrate la vostra gioia, la vostra emozione e la vostra potenza. E siete voi lo strumento. E' la sensazione più meravigliosa che possiate mai provare. Credetemi quando vi dico che niente, nessuna emozione, nessun tocco, nessuno stato emotivo, nel bene e nel male, nella vita e nella morte, è paragonabile al canto. Ad essere uno strumento della musica. Ti senti invasa da una magia ed un fuoco che sono solo tuoi. In quel momento sono per te.
Darei oro per poter cantare ancora. Ma non posso.
Che ci vuoi fare?! A volte il tuo corpo non va di pari passo con la tua mente. Lo stesso hanno fatto le corde vocali. Cantano quando è il giorno buono. Gli altri giorni, e sono tanti, sono cattivi.
Ho sempre apprezzato suoni "pieni", ma ricordo chiaramente di aver registrato per esperimento con due miei amici un pezzo di chiamiamola "elettronica". Quando l'abbiamo risentita abbiamo riso per ore.
Perché sul "gotta move" dovevo allungare e...sembrava un muggito. Oh, perfettamente a tempo, ma era proprio un "muuuuuuuve" ahahahah. Bellissimo. Epico direi.
Ci sono state altre occasioni. Tante, troppe per metterle tutte insieme in un solo post...
Una me la ha ricordata oggi mia sorella. Mi ha mandato il link di un album dei Counting Crows "August and everything after". Lei mi chiede- ti ricordi la storia di questo cd?!- Io lì per lì brancolo nel buio...poi riascolto la canzone e bam!!!
Mi ricordo sì! Ero andata a fare una prova come cantante e la Laura era venuta con me perché ero terrorizzata (beata gioventù). E un tipo, ribattezzato "il diforones" ci aveva chiesto se eravamo gemelle.
E noi ci eravamo guardate ghignando e dicendo "va bene, però falla girare" ed eravamo scoppiate a ridere come due sceme. Gemelle. Mia sorella era la metà di me. Anche per tutto il resto non ci assomigliamo proprio.
Comunque alla fine li avevo invitati tutti al mio compleanno, perché ad una certa età il mondo è fatto solo di musica e persone.
E loro mi avevano regalato proprio il cd dei Counting Crows. Pensa te cosa si è ricordata stamani la mia sorellina. Pensa cosa mi ha ricordato.
Era un periodo bellissimo. Fatto di motorini, lunghi viaggi al freddo per raggiungere posti da lupi dove però suonavano gli amici-fidanzati dell'epoca.
E vivevamo tutto in maniera estremamente intensa, un litigio fra coppia all'interno diventava una crisi generale per tutto il gruppo! Perciò telefonate, incontri più o meno segreti per risolvere "la questione" e poi, come è naturale a quell'età, tutto si risolveva in una bolla di sapone e vissero e suonarono tutti felici e contenti.
Anche perché un gruppo musicale è un legame forte e quindi le rispettive "ragazze" diventano una propaggine del ragazzo e, citando i Modena City Ramblers: "grande famiglia grande eh! eh!". Tutti fratelli e sorelle.
Insomma è un ambiente unitissimo, forse troppo; di eccessiva e totale condivisione, dove gli altri, i non familiari, non sono proprio amici, sono amici/ospiti.
E forse nemmeno questa è la spiegazione giusta. No.
Ad ogni modo io lo ricordo bellissimo e terribile. Un periodo fantastico per tanti versi, ma per come ero fatta io, troppo stretto. Soffocante. Le donne di un gruppo così legato a volte, specie a quell'età, riescono ad essere crudeli. A creare "tradimenti" dove non ce ne sono. Complotti manco fosse "Il trono di spade".
Ed io forse questa cosa non ero in grado di accettarla. Il fatto di dover anche essere "all'altezza" del ragazzo- ragazzo che io, tra le altre cose ho molto amato- mi faceva ogni tanto andare in apnea. All'altezza in amore non dovrebbe esistere. Discorsi da psicopatici.
Insomma alla fine sono esplosa. Non riesco. Non tollero le dipendenze. Di qualsiasi tipo esse siano.
Alcune persone mi hanno detto "ma se sei sposata". Quella non è una dipendenza, è una scelta potente, cialtroni!
Ehm.
Insomma: tornamus! come direbbe Harry Potter.
Quando sei ragazzetto ti capita di farti "le canne" con gli amici.
Io dopo poco ho smesso per due motivi:
1)non mi facevano un cavolo per via delle mie medicine
2)non mi andava di "doverle" fumare per convenzione sociale.
E non giudicate male. La dipendenza era nella mia mente; seppur sociale, io la sentivo potentemente. Ripeto, a quell'età vivi tutto intensamente. Per me era dipendenza.
Dipendenza. Male.
Il giorno dopo stop.
A quell'età ubriacarsi è normale, divertente, quasi un gioco. E se lo fai con la testa, ed alla fine grazie a dio lo facevamo, arrivi a casa ubriaco ma non disfatto.
La prima sbronza che mi sono presa ho trovato mio padre al tavolo di salotto.
Mi ha guardato un attimo. "hai bevuto parecchio?!"
"no no" e ho mancato il divano.
Rideva così forte che ha svegliato la mamma- che non ha riso altrettanto forte. brbrbrbr
E il giorno dopo mi ha spiegato che avendo avuto la nostra stessa età era da ipocriti impazzire di rabbia, ma era giusto fare i genitori e parlare della cosa. Falla con la testa che io non posso essere sempre lì a controllarti.
Ad ogni modo un giorno, così,  ho detto basta bere.
E basta bere.
Con le sigarette c'ho messo tanto, troppo, anche perché vi dirò, non mi andava di smettere. A me è sempre piaciuto fumare. E poi, al momento in cui ho scoperto che dopo ben 18 anni non mi andava più, ma dovevo farlo, allora mi sono resa conto che dovevo trovare il modo.
L'ho trovato, ho smesso, sto bene.
Mi dicono tutti che fino a dieci anni non sei al sicuro. Al sicuro da che?!
Perdio, ho fumato più sigarette, respiro più smog, mangio più schifezze nate da un terreno che spacciano per "pulito" che, se sono a rischio fumando, allora è il rischio minore, posso cominciare domani.
E' che non ho voglia e va bene così.
Mi girano le palle solo perché ci sto mettendo una vita a smaltire i chili presi. Ma anche lì si va a giornate.
Quelle in cui mi dispero (maledette foto sparse per casa) e giorni in cui dico-sì, ma vaffanculo (scusate il francesismo) io resto io-.
Tanti tanti ricordi.
Serate passate a litigare. Serate a parlare di stupidaggini, ma anche serate a parlare di cose importanti e di sentimenti ed idee. A fantasticare di mille progetti, di sogni realizzabili. Organizzare strategie di gruppo per risolvere problemi e creare qualcosa.
E album ed album pieni di disegni che prendevano vita nelle nostre fantasie ed il "fronte di liberazione dei folletti" ed "i nati liberi" poesie e scritti che riempivano l'aria di camera, il rosso, il nero, gli scacchi della vita che si muovevano intorno a noi. E risate litigi, urla in quella casa dove due ragazze adolescenti vivevano la stessa camera. Brbrbrbrb.
Ma guai a toccarne una che l'altra diventava un cerbero. Gente buttata fuori da casa da l'una o dall'altra perché aveva passato "il limite". I guerrieri hanno le loro regole ed il loro onere eh! E allora fuori, marrani!
Mia sorella un metro e 55 di cattiveria, io uno e 65 di rabbia.
Eehh, quanta guerra e quanto amore. E quanta pazienza di due genitori che vivevano con gli occhi alzati al cielo, o a mezz'asta, o con fiero cipiglio e sempre e comunque con le dita incrociate.
E poi amici in comune e amici totalmente diversi, serate insieme e serate lontane e totalmente separate.
Ma stessa musica in camera. Stessa musica tutta la notte. Lettore cd perennemente acceso, la notte la musica che ci cullava. Quella era la stessa. Una melodia che dormiva con noi. A volte una a volte un'altra. U2-Nirvana-Living Color-Counting Crows (appunto) e così via.
E la notte ed i nostri sogni si coloravano di poesia. La nera Morgana, la rossa Elettra. Ah! Che meraviglia! Che mondo fantastico.
E quando ne parliamo e ricordiamo queste cose sembra di essere ancora lì, pieni di eroico furore a mordere la vita e a ballare in mezzo ad una strada per urlare la nostra!
E quando chi sente questi racconti resta un po' perplesso ci chiede:
" E ora dove siete"?

Ora dove siamo?!
Esattamente dove dovremmo e questa è magia buona.

Alla mia sorellina, ai nostri disegni. E' stato bellissimo, anche quando era terribile.