mercoledì 19 febbraio 2014

Ho chiuso casa

Ho chiuso casa.
Casa dei miei genitori. Già casa mia; già casa di mia sorella. Fino a poco tempo fa casa di mio fratello.
Dopo la morte di mio fratello, la nostra intenzione era stata quella di andare con calma a traslocare 20 anni tondi tondi della mia e nostra vita. Con calma, guardando e valutando. Scegliendo e ricordando. Dare un ultimo saluto a quelli che sono stati i nostri affetti più cari. Perché una casa è fatta anche di questo. Affetti.
C'erano oggetti, in casa dei miei, che io ricordo di aver sempre visto. Da quando ero piccolissima...e le foto lo confermano.
Ci sono dei piatti che io ricordo di aver sempre visto. Delle tazze in cui ricordo di aver sempre visto bere e in cui, in seguito, ho bevuto anche io.
Ricordo un mazzo di carte, uno in particolare, con cui volevo sempre giocare, perché secondo me era più bello degli altri, dato che aveva la costola dorata.
La scacchiera del babbo. Dove aveva inutilmente tentato di insegnare ad una vivacissima Marta di sette anni a giocare a scacchi. Per poi rendersi conto che ero troppo vivace per stare seduta più di dieci minuti.
Dei libri che, non ci crederete, ovunque siamo andati, in qualunque biblioteca, assumevano lo stesso identico posto.
Potevi contare su quei libri. Dove erano restavano. E ora spero di ricordarmi dove erano, perché ho paura che cambiando loro posto i miei genitori mi vengano a tirare le coperte di notte.
Poi c'erano nella scrivania del babbo i vecchi fogli con cui stampava, quelli con i buchi sui bordi. C'erano biglietti da visita di almeno trent'anni fa. C'erano elastici che secondo me avevano legato le sue matite alle elementari da quanto erano vecchi. Una'armonia di graffette e soprattutto...la macchina per fare i buchi.
Eh sì. Il fascino di tutti i bambini. Per la pazienza infinita di mio padre credo di aver bucato più risme di carta io...facevo le scorte per i coriandoli. Mi sembra di ricordare vagamente di aver usato questa scusa qualche volta.
Nella biblioteca del babbo e della mamma in camera c'erano documenti risalenti credo anche quelli al 1990 o giù di lì.
Li avremmo buttati via. Cosa li tenevamo a fare?!
Però, c'erano dei librini di poesie (tristissime e depressive) scritte dal babbo in gioventù. Ecco, non è che fossero l'apoteosi della gioia di vivere; però erano sue.
Non è che tieni 20 librini. Però, tanto per fare un esempio, uno mia zia lo avrebbe voluto.
In cucina c'erano una serie di vassoi, pentole, ciotole e chi più ne ha più ne metta. Di nonne contro-nonne, bis-nonne...un monte di nonne. Più ovviamente le cose nostre acquistate negli anni. Compresa la affettatrice del babbo. Oh tu! Sacra affettatrice! Senza la quale la casa mai sarebbe stata casa!
Quell'affettatrice ci aveva seguito ovunque insieme ai libri.
Ho una foto. Nella foto ho un anno. Il babbo mi tiene a sedere sul tavolo. Alle spalle la libreria che lì era nell'ingresso con i mistici libri al loro mistico posto.
In camera nostra stampe mie e di mia sorelle e nell'armadio vestiti di mia mamma quando era giovane.
C'era un vestito blu da cocktail che io ho provato per curiosità. Non era bello. Di più.
Avremmo scelto con calma tutte le cose importanti. I ricordi. Le cose che ci avrebbero ricordato le tre persone che abbiamo perso.
Avremmo gettato a malincuore tantissime cose. Avremmo riso e pianto setacciando le nostre vite.
Ma con i nostri tempi. Un lutto controllato se così possiamo chiamarlo.
MA.
C'è un ma.
Un ma grande come la casa stessa.
Un ma enorme.
Io ho riavuto le chiavi di casa due settimane dopo la morte di Guido. Senza spiegazione; soprattutto senza diritto alcuno da parte di chi le ha trattenute.
Il venerdì ho preso le chiavi.
La domenica sono andata a casa.
La chiave non gira nella toppa. Colpo di tosse soffocato all'interno. Un coperchio che cade.
Il cuore che mi balza in petto. Sento gli occhi che, come nei cartoni animati,  si allargano a dismisura. Mi sembra di respirare aria più pesante e di trattenerla troppo a lungo.
Guardo Ello. Guardo l'amica che è venuta con noi.
Chiamiamo la polizia.
Nel frattempo saliamo al piano sopra e Ello scende ad aspettare la polizia giù al portone di casa.
Sentiamo aprire la porta, ci affacciamo ed un tizio con due sacchi neri della spazzatura prende l'ascensore.
Nel frattempo sentiamo salire la polizia e urliamo che ha preso l'ascensore.
Veloce passaparola e ovviamente il poliziotto in fondo alle scale associa subito "schiumarola" ad ascensore.
Tornano su col tipo.
Un Rom.
Aprono la porta.
E lì non sapevo se morire io o uccidere lui. Poliziotti o meno.
Ho sentito la mente vacillare e la lucidità abbandonarla in punta di piedi.
La casa era stravolta. Sventrata.
Il salotto era letteralmente traboccante di roba. Vestiti, libri, mobili, soprammobili. Non c'era più una superficie occupabile. C'era uno stretto sentiero che dalla porta conduceva in cucina.
Una cucina VUOTA, dove i piatti le nonne e le contro-nonne erano stati spazzati via.
Tutti i cassetti vuoti eccetto 4 tazze (troppa grazia).
Il poliziotto mi tiene fuori.
Entrano.
"Come mai le chiavi della signorina non funzionano?!"
"Ho cambiato la serratura, chissà chi poteva entrare". Primo tic all'occhio.
"Che ci fai qui?!"
" Eh, c'era un tizio, che è morto e mi hanno detto che potevo stare qui". Pugno stretto, unghie nel palmo.
"Da dove vieni?!"
" Sono jugoslavo"
"Riprova"
"Sono rom"
"Va bene e allora dicci cosa ti hanno detto di preciso?!"
Non finisce di ripetere la parola tizio che io dico "tizio un cazzo quello era mio fratello" per poi essere gentilmente trattenuta dalla mia amica.
Ingoio rabbia che mi graffia la gola per non scivolare troppo in basso.
"Va bene ora andiamo in questura"
" Eh, non posso faccio tardi a lavoro, magari vengo più tardi"
Mi tirano indietro perché sto evidentemente schiumando dalla bocca.
Tira in ballo la storia della finta moglie con finta bambina, il poliziotto lo guarda scuotendo la testa. Questa l'abbiamo già sentita sembra dire.
Usciamo di casa. Sento che dentro qualcosa sta urlando in preda alla pazzia. La ignoro.
Sul pianerottolo il tipo, tranquillo come una pasqua mi guarda e fa:
"per piacere, signora, ho delle cose mie che devo riprendere, se mi da il SUO numero..."
E lì mi portano nell'ascensore dopo che inizio a dire "io non ti do proprio un cazzo...@#]**##@ censura censura censura.
Ci sono cose che è bene non ripetere.
Nel frattempo il poliziotto che è rimasto dentro trova un sacchetto di plastica con dei proiettili.
Olè.
So cosa sono, ma glielo spiego dopo altrimenti si fa notte. Cosa che è comunque successa.
In questura facciamo la denuncia. Questo passa tranquillo come niente fosse accaduto, dando il numero dell'avvocato (occhi nuovamente sgranati) con un cellulare da 800€ che io non mi posso permettere. Ma naturalmente il Signor"sono povero non sapevo dove andare" in qualche modo deve comunicare con il mondo esterno.
Torniamo a casa con lui e la polizia, dato che ci sono i famosi proiettili e a mio padre (come sempre) risulta un arma non trovata. Ma quanto ca##o di pistole aveva mio babbo dio santo?!

Ad ogni modo. Torniamo a casa. E' buio. Abbiamo i cellulari (noi) e le torce giganti (loro).
Entro in casa e mi risale la furia.
Le camere da letto sono vuote. Eccezion fatta per scrivania e cassettone. Vuoti anche quelli.
Nel ripostiglio sono stati impilati, nell'armadio della biancheria, tutti libri e gialli e romanzi. Rigorosamente mischiati a caso e pressati uno sopra l'altro.
La camera di Guido..beh è abbastanza guidesca a volerla vedere. Ci hanno buttato di tutto e di più.
La camera della Laura, già camera mia, è vuota anch'essa. Niente libri. Scrivania vuota. Armadio semi vuoto. Però i mobili li avevano tenuti eh sti st##°°@!!!!
La cucina altrettanto vuota. La terrazza traboccante di roba ammassata. Tutto il resto in corridoio. Tutto quello che è rimasto.
Perché per una settimana, secondo i vicini, questi hanno fatto avanti e indietro per casa.
Ora...magari chiamare. Comunicare.Lasciamo stare.
Altrimenti come si dice a Firenze, mi ribollan le chiare.
Guardo casa ed esco.
Arrivano i genitori di Luca e nella rabbia, nel piazzale urlo un vaffanculo (con bestemmia mi vergogno da morire ma mi è davvero scappata) quello era mio fratello.
Poi silenzio.
I poliziotti gentilmente aiutano Ello a rimettere in sesto la blindata. Ci dicono anche, delicatamente, che è una cosa frequente e che potrebbero tornare.
Con lo sconforto e l'ansia, capiamo di avere una settimana per portare via tutto.
Una settimana. In cui io vedrò cosa non c'è più.
In cui dovrò scegliere da sola, perché la Laura è in Irlanda, cosa tenere della nostra vita.
In cui dovrò buttare via cose che forse non avrei buttato.
In cui dovrò dare addio ad una casa con una pacca sulla spalla invece che con un lungo abbraccio.
E passo il resto della settimana a fare di giorno e disperarmi di notte.
Ma solo quando venerdì pomeriggio Ello mi fa vedere la credenza vuota che mi crolla il mondo addosso.
Non so perché.
Credetemi. Ho trovato scheletri della mia vita dappertutto nella casa. Ho visto i fantasmi di ciò che un tempo c'era in un posto piuttosto che in un altro.
Ma quando ho visto la credenza con i piatti "buoni" e il servito del matrimonio...ecco lì ho capito.
Che quell'orrore era vero. Quello scempio. Quell'uccidere la morte era vero.
E ho pianto, chiedendo a chi era lì un po' di tempo per riprendermi.
Perché davanti a quella credenza vuota una delle mille corde che mi avevano sostenuto in quei giorni si è improvvisamente spezzata, togliendomi per un attimo l'equilibrio, già precario peraltro, che mi aveva sostenuto durante la settimana.
Mi sentivo come se mi si fosse crettata la faccia. Non so descriverlo meglio. Ho sentito proprio la corda tendersi e saltare, proprio come quella di una chitarra, e la mia faccia che si crettava.
Alla fine ho ritrovato più cose di quanto credevo. Ma quella credenza vuota è ancora davanti a me.
Sabato abbiamo fatto il trasloco. C'era anche mio cugino Giulio con me, la cui presenza mi ha davvero salvato la vita.
Siamo anche andati in cantina dove c'era sicuramente qualcosa, ma io in quel momento volevo solo andare via.
Solo andare via.
E sono tornata mercoledì con Ello solo e soltanto per non restare con un "e se..." per tutta la vita.
Difatti dopo aver staccato tre giorni, abbiamo trovato altre cose, sia in casa fra i libri rimasti che in cantina.
Abbiamo fatto bene.
Poi siamo risaliti in casa. Ho guardato quello scheletro triste e desolato.
Ho detto "allora qui ci diciamo addio" e sono uscita.
La morte uccisa. Assassinata lì. In casa mia.
Il colonnello Plumb. Nel salone. Con il candelabro.



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